Analizziamo gli strumenti di rafforzamento del vincolo contrattuale per rispondere a uno dei massimi scopi del contratto: la prevenzione delle controversie

 

Quando le parti si accordano per costituire tra loro un rapporto giuridico patrimoniale, confidano nell’adempimento spontaneo delle prestazioni ivi dedotte.

In concreto, infatti, l’adempimento rappresenta la vicenda conclusiva fisiologica del vincolo contrattuale, in quanto produce sia l’estinzione dell’obbligazione, sia il soddisfacimento dell’interesse creditorio.

Se, per contro, si apre la fase patologica del rapporto, ossia si verifica il mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni dedotte in contratto, la parte non inadempiente può ricorrere all’autorità giudiziaria e accedere a un complesso sistema esecutivo, normativamente previsto, volto alla realizzazione coattiva del proprio diritto.

Alla base di tale sistema vige il principio del c.d. “divieto di autotutela”, secondo cui il privato non ha diritto di farsi ragione da sé.

Infatti, come noto, la funzione di composizione eteronoma delle liti è riservata allo Stato, che la esercita per il tramite degli organi giurisdizionali, garantendo all’individuo il prevalente diritto di iniziativa, ma vietandogli, quale necessario contraltare, il ricorso a forme di tutela privata, che non siano eccezionalmente consentite dalla legge.

Il divieto di autotutela, poi, è forse il più noto principio inespresso che la dottrina civilistica ha ricavato dall’ordinamento, dal momento che di fatto non esiste nel panorama legislativo italiano un dispositivo contenente in forma esplicita un simile divieto.

In realtà, anche per esigenze di economicità dei mezzi giuridici, sia il Codice civile sia le leggi speciali prevedono una nutrita gamma di ipotesi in cui l’autotutela è consentita quale deroga a tale principio generale.
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Meccanismi contrattuali tipici di risoluzione non giudiziale

Il Codice civile riconosce tre ipotesi di risoluzione di diritto per inadempimento:

  • la diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c.;
  • la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.; e
  • il termine essenziale previsto dall’art. 1457 c.c.

Seppur con peculiarità proprie, ciascuna di queste clausole ha l’effetto di determinare la risoluzione di diritto del contratto quale conseguenza dell’inadempimento altrui.

L’istituto della risoluzione per volontà privata unilaterale costituisce, così, una delle ipotesi in cui l’ordinamento ammette, a determinate condizioni, il principio eccezionale dell’autotutela privata.

In questo senso, le clausole in parola sono riconosciute come strumenti di rafforzamento del vincolo contrattuale, in quanto consentono alla parte di avvalersi di un mezzo rapido per sciogliersi dal contratto e, al contempo, per spingere la controparte a tenere fede all’impegno assunto, sotto la minaccia della risoluzione.

Va chiarito che tali clausole costituiscono una facoltà per la parte a favore della quale operano, che pertanto può scegliere se avvalersi dell’effetto risolutorio ovvero rinunciarvi. Peraltro, la stipulazione di tali clausole non impedisce che il contratto possa essere risolto anche per mezzo dell’azione costitutiva di inadempimento, come previsto dall’art. 1453 c.c.

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L’articolo, redatto dagli Avv. Bertazzoni e Corniani, è apparso sulla rivista “Società Contratti Bilancio Revisione”, edita da Eutekne